Un famosissimo brano dei Rolling
Stones inizia così:
Please allow me to introduce myself
I’m a man of wealth and taste
E mai incipit fu più adatto per
introdurre la serie Lucifer.
Mettiamo che un bel giorno il diavolo si scocci di
continuare a punire le anime dannate, decida di abbandonare l’inferno per aprire un
night club a Los Angeles e studiare da vicino l’umanità. Mettiamoci anche che
nelle alte sfere del Paradiso la cosa non venga assolutamente presa bene tanto
da mandare qualcuno a convincere il demon prodigo a tornare a casa.
Sullo sfondo, ci mettiamo la solita trama fatta di omicidi
(uno a puntata più o meno) poliziotti corrotti, personaggi dal passato
controverso e un pizzico di romanticismo che fa tanto young adult.
Los Angeles 2.0 diventa la Città degli angeli e…del diavolo!
Non riesco proprio a decidere se la serie Lucifer sia una
cafonata assurda oppure una grande genialata.
Di solito non apprezzo molto i crime drama: non ho mai
capito cosa ci sia di figo in CSI e in altri prodotti simili se non una serie
infinita di omicidi che se solo fosse vera per metà avremmo già spopolato mezza
America del Nord. Anche nel caso di Lucifer, il lato crime è parecchio preponderante
anche se l’aggiunta del misticismo religioso propone qualcosa di particolare.
Lucifer Morningstar, cioè il Diavolo, è l’affascinante menager del Lux,
uno dei locali più chiacchierati e frequentati di LA. Lo gestisce insieme alla
sexy barista/demonessa Mazikeen con il disturbo più o meno costante del
fratello Amenadiel che lo invita, senza successo, a tornare sui suoi passi. Al
gruppo dei protagonisti si aggiungeranno poi la psicologa Linda, il detective
speciale Chloe Decker e il suo ex marito Dan.
Il taglio di ogni singolo episodio è sempre lo stesso: c’è
un omicidio efferato che vede Chloe e il suo staff indagare con l’aiuto di
Lucifer nelle vesti di consulente speciale. L’ottanta per cento dell’episodio è
a sé stante mentre la parte che rimane riprende il canovaccio principale che
viene trattato su tutto l’arco della stagione.
Il miglior pregio di Lucifer è anche il suo peggior difetto:
non prendersi troppo sul serio.
Fatti e personaggi provenienti dai testi sacri non sono mai
approfonditi troppo e spesso non corrispondono alla loro controparte raccontata
in catechismo o sono del tutto inventati. Ciò permette di sorvolare a distanza
di sicurezza ogni tipo di speculazione mistico-religiosa o pretesa di aderenza
alla storia canonica della Bibbia. Ammesso che qualcuno voglia sollevare
problemi su questo fronte.
Purtroppo l’eccessiva leggerezza con cui vengono trattati i
fatti sfocia spesso in una banalità disarmante. Il ripetersi della trama,
episodio dopo episodio, non aiuta a dare spessore. Spesso il lato crime viene
sacrificato per portare avanti la trama principale e il risultato è che alcuni
casi vengono chiusi in modi un po’ troppo artificiosi.
Se non altro il lato più romantico della storia è parecchio
diluito. In un trentina di episodi che ho visto solamente in tre di questi ho
assistito a scene melense e strappalacrime. D’altra parte, di episodi costruiti
a regola d’arte ne ho visti solo quattro o cinque accomunati tutti dal fatto di
ispirarsi a personaggi ideati da un certo Neil Gaiman, uno che con divinità sul
piccolo schermo ci sa fare (leggi alla voce American Gods a questo link).
In conclusione, Lucifer è una serie che intrattiene
abbastanza bene e che in diversi passaggi riesce anche a strappare più di una
risata. Il mio personaggio preferito per costruzione ed evoluzione è la
demonessa Mazekeen.
Buona vita a tutti
Visto ogni tanto, terza serata, su Italia 1... proprio non mi ha preso.
RispondiEliminaMoz-
Si, il fatto di diluire una trama principale in tantissime sotto trame insipide non paga
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