Nel mare ci sono i coccodrilli: il viaggio di Enaiatollah Akbari






Il mito è una forma di narrazione che consegna all'immaginazione e all'interpretazione l'onere e l'onore di raccontare i fatti. Secondo quanto sosteneva lo psicoanalista e filosofo James Hillman, il mito è ciò che è e sarà sempre.

Anche se vengono raccontati fatti avvenuti molti secoli fa, la caratteristica più interessante del mito è quella di essere tremendamente e fatidicamente attuale.

Vi porto un esempio di questa considerazione.

Nell'antica Fenicia viveva un re che aveva una figlia molto bella e per questo molto corteggiata. Zeus se ne invaghì e trasformatosi in un toro bianco, come quelli posseduti dal re, invitò la ragazza a salirgli in groppa. La sventurata si accorse ben presto che la strada presa dal toro non portava al palazzo ma al di là del mare, fino all'isola di Creta dove il dio si manifestò per quello che era realmente e possedette la ragazza.

La ragazza si chiamava Europa.

Se non fosse chiaro il senso di quanto vi ho appena raccontato, prendo in prestito le parole di uno dei miei scrittori preferiti (precisamente dal romanzo Appunti per un naufragio di Davide Enia) per dirvi che: siamo tutti figli di una migrazione.

Il fatto che Europa non abbia deciso di andar via dalle sue terre ma che vi sia stata costretta è quello che rende questo mito profondamente attuale.

Non mi voglio assolutamente addentrare in discorsi che andrebbero troppo fuori tema rispetto al motivo per cui ho pensato e scritto questo post, e che comunque comporterebbero delle competenze e delle conoscenze che non ho ma, il fatto è che rispetto ad alcune dinamiche l’ignoranza non è più una buona scusa e l’indifferenza, invece, può essere considerata come una responsabilità.

La dinamica in questione è la migrazione.




Io però non sono un migrante quindi non ho né l’esperienza né la consapevolezza per descrivere bene il fenomeno quindi mi faccio guidare da qualche passaggio del bellissimo romanzo di Fabio Geda intitolato Nel mare ci sono i coccodrilli in cui lo scrittore piemontese raccoglie il diario di viaggio di Enaiatollah Akbari, un ragazzo afghano che ha vissuto un’Odissea (per restare in tema di mito) tra Afghanistan, Pakistan, Iran, Turchia, Grecia e Italia.



Il fatto è che non me l’aspettavo che lei andasse via…


Vi presento Enaiatollah, per gli amici Enaiat.

Enaiat rimane da solo. La madre lo abbandona in un samavat di Quetta (Pakistan), una specie di ostello dove stazionano migranti diretti in ogni parte del Medio Oriente. In realtà la madre gli salva la vita e nel frattempo si condanna al pensiero di non rivedere mai più il figlio e di averlo lasciato solo, a 9 anni, in un mondo troppo difficile da comprendere per un bambino cresciuto nelle strade polverose e deserte di un villaggio afghano.

Eri tu che dovevi andare da loro, mentre stavano facendo o pensando altro, e dire compra, compra per favore. Dovevi disturbarli e loro ovviamente erano infastiditi e ti trattavano male
Non mi piaceva disturbare. Non mi piaceva essere trattato male. Ma a tutti vivere interessa molto, e per vivere siamo disposti a fare cose che non ci piacciono.


Enaiat impara a cavarsela da solo. Nessuno gli ha spiegato i trucchetti, nessuno gli ha mai fatto vedere cosa fare o non fare. Deve imparare a vivere. Da solo. A 9 anni in una società in cui la sua etnia viene trattata con pregiudizio e sdegno quando non con violenza gratuita.
Enaiat è come Ulisse. Magari non proprio scaltro come l’eroe del mito ma, sicuramente, ha le carte giuste per inventarsi le briscole con la vita e ce la fa. Affronta situazioni in cui io, a 34 anni, forse non ce l’avrei fatta.

Dopo tanti pericoli affrontati, tanti stratagemmi per evitare il peggio e dopo aver conosciuto persone senza scrupoli che trattano altre persone come se fossero una merce, Enaiat riesce a chiedere asilo politico allo Stato Italiano.

Perché lui vuole studiare e imparare un mestiere. In Afghanistan sarebbe stato impossibile perché lì gli hazara come lui non hanno diritto di studiare, di mangiare, di riunirsi e nemmeno di vivere. Laggiù, se hai la sfortuna di nascere hazara piuttosto che pashtun, il tuo futuro non esiste.

Per chi non lo sapesse:

hazara = afghani di religione islamica sciita, parlano un dialetto di ceppo persiano, l'hazaragi.
pashtun = afghani di religione islamica sunnita, parlano un dialetto di ceppo persiano, il pashtu.

In pratica tra un pashtun e un hazara c’è tanta differenza quanta c’è n’è tra un sardo e un siciliano.

Quando sei accolto da qualcuno che ti tratta bene – ma con naturalezza, senza essere invadente – capita che ti viene voglia di farti accogliere ancora di più. 

O, no?

L’Italia ha accolto Enaiat, gli ha concesso il permesso di soggiorno. Lo Stato Italiano gli ha consentito di laurearsi (nel 2016) in scienze internazionali. Enaiat vuole lavorare in una ong per aiutare tanti suoi connazionali a non dover affrontare lo stesso suo incredibile e pericoloso viaggio.

Dopo quasi 7 anni di viaggio, 3 dei quali passati in Italia ad aspettare il permesso di soggiorno, rassicurato sulla possibilità di poter vivere e studiare qui, Enaiat decide di aiutare la madre e i fratelli.

Il romanzo si conclude con questa riflessione del protagonista:

Prima di occuparti degli altri devi trovare il modo di stare bene con te stesso.
Come fai a dare amore se non ami la tua vita?

Enaiat non si sente una vittima.

Chiudo il post, tornando al mito di Europa.

Dopo la migrazione forzata, Europa diede alla luce tra figli, uno dei quali fu Minosse, leggendario re di Creta.

Non so se mi spiego…

Buon mito e buona vita a tutti.

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