Lo squalo di Peter Benchley: molto meglio il film



Non mi capita spesso di dirlo, anzi, praticamente non lo dico mai ma questa è una delle rare occasioni in cui non mi posso tirare indietro: Lo squalo.

E' meglio, molto meglio, il film di Steven Spielberg piuttosto che il romanzo di Peter Benchley.

Perché?




Se facciamo lo sforzo di dimenticare per un attimo il film e quello che ha rappresentato per l'industria del cinema dato l'indotto che ha generato, ci troviamo di fronte a una storia in cui vediamo un uomo confrontarsi contro una paura atavica.




Quello che ci ha resi così efficienti da un punto di vista evoluzionistico è la capacità di creare pensieri astratti e di gestire attraverso questi ultimi gli aspetti più emotivi della nostra vita: per questo motivo i popoli antichi sacrificavano animali prima di viaggiare per mare per ingraziarsi il dio Poseidone o creavano complicati dogmi per giustificare decisioni di ordine sociale e scongiurare l'applicazione sommaria della giustizia personale.

Ma il nostro più grande pregio come specie è anche il nostro più grande difetto perché per quanto esseri razionali, saremo sempre disarmati e inermi nei confronti della paura.

E cosa può essere più terrificante di un animale preistorico, programmato dalla natura per agire senza pensare, con delle caratteristiche fisiche che lo rendono un predatore perfetto e una psiche che non conosce la pietà, il senso di colpa e nemmeno la paura?
Se state facendo il bagno nell'oceano cosa può fare più paura di un bestione lungo più di sei metri che pesa diverse tonnellate che ha una mascella in grado di farvi a pezzi con un solo morso e denti così aguzzi da straziare perfino il legno?

Esatto, nulla fa più paura di uno squalo bianco.




Amity è una piccola città sulla costa della baia di Long Island in cui
la popolazione vive di turismo balneare e sta attraversando una bruttissima crisi economica dovuta al crollo del prezzo degli affitti.

Una mattina, la placida tranquillità dei villeggianti viene scossa dal ritrovamento del cadavere orrendamente mutilato di una giovane donna: i più esperti sostengono che si tratti di uno squalo.


Il capo della polizia Brody si convince a contattare Matt Hooper, un ittiologo, per capire come affrontare l'animale mentre le autorità cittadine gli negano la possibilità di chiudere le spiagge per evitare eventuali altre vittime dello squalo.




Comincia quindi una specie di caccia allo squalo, con poca convinzione e nessun mezzo adatto, una caccia che si trasforma presto nella lotta contro la paura.
Lo squalo bianco è, infatti, un animale dalla psicologia primitiva - come spiega Hooper - che conosce il mondo intorno a se quasi esclusivamente sotto forma di vibrazioni dell'acqua e che si rapporta con ogni cosa che lo circonda attraverso il morso. Queste caratteristiche poco si addicono all'incolumità delle persone che si trovano in acqua.

Nessuno riesce a spiegare perché quell'esemplare abbia deciso di stabilirsi in acque così trafficate e nemmeno perché non cambi zona: si sa solo che le spiagge di Amity sono diventate pericolose.

Il film di Spielberg riesce a trasmettere perfettamente questo sentimento di paura nei confronti dell'animale e del suo habitat naturale che, non essendo il nostro, ci suscita una certa inquietudine. Lo squalo rappresenta il mostro che può risalire dalle oscure profondità degli oceani per ghermirci.
Aiutato anche da una colonna sonora d'antologia, Lo squalo di Spielberg surclassa di netto il romanzo di Peter Benchley da cui è tratto.




Il romanzo ha dalla sua una descrizione molto coinvolgente dei movimenti dello squalo ma si perde inesorabilmente dentro alle paturnie del protagonista Brody, del suo rapporto difficile con l'insoddisfazione della moglie e nei sospetti di un tradimento. Per quanto mi riguarda tutto ciò fa perdere l'atmosfera carica di tensione che invece una storia del genere dovrebbe avere.

Quindi Lo squalo è un caso più unico che raro: meglio il film.

Buona vita a tutti.




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