Siamo dei prodotti?
In The Social Dilemma si parla dei social network, degli
algoritmi che ne caratterizzano il funzionamento, e delle logiche che stanno
dietro questi software; a parlare sono ex sviluppatori di grosse aziende che
operano nel settore, gente che dopo aver creato determinati software si è resa
conto che SENZA UNA OPPORTUNA REGOLAMENTAZIONE questi algoritmi possono
rappresentare una minaccia per il nostro futuro. Ho deciso di scrivere in caps
lock quelle quattro parole per non fare lo stesso errore di chi ha prodotto,
girato e distribuito The Social Dilemma.
The Social Dilemma è un documentario che porta alla luce dinamiche che pochi conoscono su come agiscono
gli algoritmi che controllano il feed dei vari social network, spiega che
rapporto c’è tra questi algoritmi e il nostro comportamento e discute dell’eticità
di trattare gli iscritti come prodotto per rendere gli inserzionisti sempre più
ricchi.
Fin qui, nulla di nuovo – almeno per me –
perché sono argomenti che mi interessano molto, ho qualche rudimento di
programmazione che risale ai tempi dell’università e cerco di informarmi sempre
riguardo al rapporto società/tecnologia. Infatti, non molto tempo fa avevo
parlato anche si microtargeting QUI.
Il punto è il modo in cui The Social Dilemma propone i suoi
argomenti. Il documentario dura 1 ora e 34 minuti di cui solo gli ultimi 8
minuti mostrano un’apertura positiva e una narrazione costruttiva dei fatti
mentre per il resto ho visto uno storytelling fatto con il kalashnikov.
La nostra società ha un problema con i social network?
Possono rappresentare una minaccia?
Ovvio che si. Ogni social network funziona grazie a una
serie di algoritmi che mirano a tenerti davanti allo schermo quanto più a lungo
possibile così puoi visualizzare parecchie pubblicità e massimizzare gli
introiti dell’investitore. Se poi ci clicchi sopra partono anche i tappi dello
champagne. Ma, se qualcuno che conosce bene questi algoritmi riesce a
intercettare il flusso delle informazioni allora può veicolare sul tuo feed
tutta una serie di contenuti che possono portarti a credere che la terra sia
piatta, che il coronavirus sia stato tutta una bufala, che la mascherina faccia
male, che Hillary Clinton e Obama finanzino segretamente una tratta di
trafficanti di bambini per scopi pedopornografici o che negli scantinati di una
pizzeria di Washington vengano sacrificati bambini in nome di Satana. All'inserzionista
non interessa che tipo di contenuti visualizzi, se guardi i video o i post di
canali istituzionali o se ti piacciono i complotti: l’algoritmo fa in modo che
qualsiasi contenuto diventi fonte di guadagno per l’inserzionista. Come se non
bastasse, un altra minaccia è rappresentata dalla presenza di politici o chi
per loro che sfruttano gli algoritmi per fare propaganda. Tipo continuare a
dire che il coronavirus lo trasmettono gli immigrati, che la famiglia
tradizionale è fatta da mamma, papà e figli e altre stronzate del genere per le
quali vale lo stessa logica del guadagno di cui sopra.
I social network possono condizionarci?
Dipende. A vedere quello che succede nel mondo è chiarissimo
come molte persone siano finite nella trappola della disinformazione,
moltissimi si sono creati delle bolle di filtraggio dei contenuti e vedono e
sentono solo quello che passa dal filtro, ignorando tutto il resto. Gli
algoritmi dei social hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale in tutto
questo e SENZA REGOLAMENTAZIONE come sono rischiano di mettere in crisi la
democrazia e il sistema delle libertà che abbiamo faticosamente costruito negli
anni. Ci sarà sempre qualcuno attirato dalle mezze verità o dalle bufale a buon
mercato, qualcun altro che preferirà girare la faccia dall'altra parte e molti
altri totalmente indifferenti al problema perché si credono superiori o immuni
dal problema.
Non possiamo proprio fare niente?
Non è vero. Possiamo esercitare il nostro senso critico,
chiederci se quello che leggiamo e vediamo sia stato confermato da più fonti;
possiamo evitare di diffondere le bufale anche solo per scherzo o per
dimostrarne la falsità; possiamo controllare quanti accessi facciamo ogni
giorno sul feed dei social; possiamo aumentare la nostra consapevolezza del
rapporto che abbiamo con la tecnologia. Siamo utenti, forse è vero – come dicono
gli intervistati di The Social Dilemma – che siamo anche prodotti di un sistema
economico ma questo non vuol dire che non possiamo fare niente in merito e che
dobbiamo accettare il nostro ruolo di vittime sacrificali sull'altare del
guadagno.
Essere un utente, e in una definizione più larga un consumatore, significa esercitare un ruolo importantissimo nel sistema. Siamo quello che mangiamo, quello che vediamo, quello che diciamo e quello che compriamo. Le inserzioni possono provare a condizionarci, a farci comprare un determinato prodotto, perfino a farci pensare in un certo modo.
Possono PROVARE
ma a SCEGLIERE saremo sempre noi.
Ecco, per quanto The Social Dilemma sia pieno di
informazioni, il problema sta nel fatto che è stato pensato per far leva sulla
paura e sulla disperazione. A guardarlo ho avuto la sensazione che dovesse
passare il messaggio che chiunque di noi sia una vittima più o meno consapevole
del sistema e in quanto tale totalmente de-responsabilizzata per i propri pensieri
e le proprie azioni. Ma se questa responsabilità non ce la prendiamo noi,
pensiamo che se la prenderanno i gestori dei social solo perché è stato
distribuito un documentario con una narrazione a metà strada tra Matrix e
Minority Report?
Secondo me il problema della responsabilità è il primo step
da affrontare in un progetto che potrebbe portarci ad avere una regolamentazione
opportuna del modo con cui gli algoritmi predittivi gestiscono i nostri feed
social.
In definitiva l’idea che sta alla base di The Social Dilemma
è buona ma è stata gestita molto male anzi, in alcuni passaggi anche in maniera
quasi “da complottista” senza tener conto delle basi fondamentali della
divulgazione. Ecco un esempio: c’è un nesso causale tra l’aumento del tasso di
suicidi di minorenni e l’uso dei social network dimostrati da un bel grafico
colorato. Ok, ma qual è il nesso? Come l’utilizzo dei social farebbe aumentare
il numero di ragazzi che decidono di togliersi la vita? Che studi hanno
determinato quelle statistiche?
The Social Dilemma invita alla fine a esercitare il proprio
senso critico e io l’ho fatto su quello che stavo guardando e il risultato è
stato che non basta mettere insieme un bel po’ di fatti tecnici e innaffiarli
con abbondante paura. Il punto è mostrare la via d’uscita del tunnel, non
quanto sia buio al suo interno.
In ogni caso ritengo che The Social Dilemma vada visto
perché accende quelle scintille di curiosità che magri potrebbero portare ad
acquisire un senso di responsabilità maggiore nel proprio ruolo di utenti di
una piattaforma.
Per approfondire:
2) Il mondo sottosopra di Massimo Polidoro. Come e perché si diffondono fake news e complotti vari con esempi come il Pizzagate di Washington (citato in The Social Dilemma)
Una serie TV
Mr.Robot sulla percezione della realtà in un mondo governato da internet. Ne ho parlato in un post precedente.
Un canale Youtube
Il canale di Massimo Polidoro in cui si parla spesso di come la narrazione su internet fa nascere complotti e su come ci si informa bene per evitare di credere a tutto quelle che dice il web
E per ora è tutto gente, buona vita.
Mi avevano segnalato quest'opera, ma in effetti la tua ottima recensione ha sollevato i miei dubbi..tutte queste opere finiscono per creare quell'effetto panico tipico di alcuni programmi televisi di approfondimento che infatti ho smesso di guardare.
RispondiEliminaI social sono una brutta bestia, ma mi son reso conto che in passato li ho demonizzati spesso, invece sta alla nostra responsabilità curare bene il nostro orticello (in questo caso non ha valenza negativa) e non farci condizionare dai complottismi e dalle fake news che ci circondano, o dalle polemiche politiche urlate..Chiaro che il problema c'è, eccome, perché ci sono appunto persone che sono plagiate da questi contenuti "complottisti" e fuorvianti. E questo lavaggio del cervello è molto più incisivo di quello che faceva la televisione..Ma certo non possiamo avere la presunzione di poter cambiare il mondo o gli altri; dobbiamo solamente cercare di comportarci al meglio noi. Fare tutti la nostra parte, per rendere i social e il mondo migliore :)
Sono d’accordo con te. La misura delle cose te la da il fatto che tanti che lo vedono poi vanno sui social con slogan tipo “aprite gli occhi”, “siamo dei prodotti” e “i social ci stanno uccidendo” e generano un effetto straniante: come cercare di sollevare un secchio mettendoci i piedi dentro
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