The Social Dilemma: l’importanza di essere critici

 


Siamo dei prodotti?


 Inizia con un aforisma di Sofocle (Nulla che sia grande entra nella vita dei mortali senza una maledizione) il documentario The Social Dilemma recentemente caricato su Netflix e che ha attirato il mio interesse grazie anche agli amici che me lo hanno consigliato. Al momento in cui scrivo si trova all'ottavo posto tra i contenuti più visti sulla piattaforma e per il tema che tratta e per come lo tratta capisco perché tutto questo interesse.

In The Social Dilemma si parla dei social network, degli algoritmi che ne caratterizzano il funzionamento, e delle logiche che stanno dietro questi software; a parlare sono ex sviluppatori di grosse aziende che operano nel settore, gente che dopo aver creato determinati software si è resa conto che SENZA UNA OPPORTUNA REGOLAMENTAZIONE questi algoritmi possono rappresentare una minaccia per il nostro futuro. Ho deciso di scrivere in caps lock quelle quattro parole per non fare lo stesso errore di chi ha prodotto, girato e distribuito The Social Dilemma.



The Social Dilemma è un documentario che porta alla luce  dinamiche che pochi conoscono su come agiscono gli algoritmi che controllano il feed dei vari social network, spiega che rapporto c’è tra questi algoritmi e il nostro comportamento e discute dell’eticità di trattare gli iscritti come prodotto per rendere gli inserzionisti sempre più ricchi.
 Fin qui, nulla di nuovo – almeno per me – perché sono argomenti che mi interessano molto, ho qualche rudimento di programmazione che risale ai tempi dell’università e cerco di informarmi sempre riguardo al rapporto società/tecnologia. Infatti, non molto tempo fa avevo parlato anche si microtargeting QUI.

Il punto è il modo in cui The Social Dilemma propone i suoi argomenti. Il documentario dura 1 ora e 34 minuti di cui solo gli ultimi 8 minuti mostrano un’apertura positiva e una narrazione costruttiva dei fatti mentre per il resto ho visto uno storytelling fatto con il kalashnikov.



La nostra società ha un problema con i social network? Possono rappresentare una minaccia?

Ovvio che si. Ogni social network funziona grazie a una serie di algoritmi che mirano a tenerti davanti allo schermo quanto più a lungo possibile così puoi visualizzare parecchie pubblicità e massimizzare gli introiti dell’investitore. Se poi ci clicchi sopra partono anche i tappi dello champagne. Ma, se qualcuno che conosce bene questi algoritmi riesce a intercettare il flusso delle informazioni allora può veicolare sul tuo feed tutta una serie di contenuti che possono portarti a credere che la terra sia piatta, che il coronavirus sia stato tutta una bufala, che la mascherina faccia male, che Hillary Clinton e Obama finanzino segretamente una tratta di trafficanti di bambini per scopi pedopornografici o che negli scantinati di una pizzeria di Washington vengano sacrificati bambini in nome di Satana. All'inserzionista non interessa che tipo di contenuti visualizzi, se guardi i video o i post di canali istituzionali o se ti piacciono i complotti: l’algoritmo fa in modo che qualsiasi contenuto diventi fonte di guadagno per l’inserzionista. Come se non bastasse, un altra minaccia è rappresentata dalla presenza di politici o chi per loro che sfruttano gli algoritmi per fare propaganda. Tipo continuare a dire che il coronavirus lo trasmettono gli immigrati, che la famiglia tradizionale è fatta da mamma, papà e figli e altre stronzate del genere per le quali vale lo stessa logica del guadagno di cui sopra.



I social network possono condizionarci?

Dipende. A vedere quello che succede nel mondo è chiarissimo come molte persone siano finite nella trappola della disinformazione, moltissimi si sono creati delle bolle di filtraggio dei contenuti e vedono e sentono solo quello che passa dal filtro, ignorando tutto il resto. Gli algoritmi dei social hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale in tutto questo e SENZA REGOLAMENTAZIONE come sono rischiano di mettere in crisi la democrazia e il sistema delle libertà che abbiamo faticosamente costruito negli anni. Ci sarà sempre qualcuno attirato dalle mezze verità o dalle bufale a buon mercato, qualcun altro che preferirà girare la faccia dall'altra parte e molti altri totalmente indifferenti al problema perché si credono superiori o immuni dal problema.



Non possiamo proprio fare niente?

Non è vero. Possiamo esercitare il nostro senso critico, chiederci se quello che leggiamo e vediamo sia stato confermato da più fonti; possiamo evitare di diffondere le bufale anche solo per scherzo o per dimostrarne la falsità; possiamo controllare quanti accessi facciamo ogni giorno sul feed dei social; possiamo aumentare la nostra consapevolezza del rapporto che abbiamo con la tecnologia. Siamo utenti, forse è vero – come dicono gli intervistati di The Social Dilemma – che siamo anche prodotti di un sistema economico ma questo non vuol dire che non possiamo fare niente in merito e che dobbiamo accettare il nostro ruolo di vittime sacrificali sull'altare del guadagno.

Essere un utente, e in una definizione più larga un consumatore, significa esercitare un ruolo importantissimo nel sistema. Siamo quello che mangiamo, quello che vediamo, quello che diciamo e quello che compriamo. Le inserzioni possono provare a condizionarci, a farci comprare un determinato prodotto, perfino a farci pensare in un certo modo. 

Possono PROVARE ma a SCEGLIERE saremo sempre noi.

Ecco, per quanto The Social Dilemma sia pieno di informazioni, il problema sta nel fatto che è stato pensato per far leva sulla paura e sulla disperazione. A guardarlo ho avuto la sensazione che dovesse passare il messaggio che chiunque di noi sia una vittima più o meno consapevole del sistema e in quanto tale totalmente de-responsabilizzata per i propri pensieri e le proprie azioni. Ma se questa responsabilità non ce la prendiamo noi, pensiamo che se la prenderanno i gestori dei social solo perché è stato distribuito un documentario con una narrazione a metà strada tra Matrix e Minority Report?

Secondo me il problema della responsabilità è il primo step da affrontare in un progetto che potrebbe portarci ad avere una regolamentazione opportuna del modo con cui gli algoritmi predittivi gestiscono i nostri feed social.

In definitiva l’idea che sta alla base di The Social Dilemma è buona ma è stata gestita molto male anzi, in alcuni passaggi anche in maniera quasi “da complottista” senza tener conto delle basi fondamentali della divulgazione. Ecco un esempio: c’è un nesso causale tra l’aumento del tasso di suicidi di minorenni e l’uso dei social network dimostrati da un bel grafico colorato. Ok, ma qual è il nesso? Come l’utilizzo dei social farebbe aumentare il numero di ragazzi che decidono di togliersi la vita? Che studi hanno determinato quelle statistiche?

The Social Dilemma invita alla fine a esercitare il proprio senso critico e io l’ho fatto su quello che stavo guardando e il risultato è stato che non basta mettere insieme un bel po’ di fatti tecnici e innaffiarli con abbondante paura. Il punto è mostrare la via d’uscita del tunnel, non quanto sia buio al suo interno.

In ogni caso ritengo che The Social Dilemma vada visto perché accende quelle scintille di curiosità che magri potrebbero portare ad acquisire un senso di responsabilità maggiore nel proprio ruolo di utenti di una piattaforma.

Per approfondire:

 Un paio di libri

1) The Game di Alessandro Baricco in cui l'autore racconta la colonizzazione umana del mondo tecnologico con una parte finale che sottolinea cosa potremmo dover sacrificare in cambio.

2) Il mondo sottosopra di Massimo Polidoro. Come e perché si diffondono fake news e complotti vari con esempi come il Pizzagate di Washington (citato in The Social Dilemma)

Una serie TV

Mr.Robot sulla percezione della realtà in un mondo governato da internet. Ne ho parlato in un post precedente.

Un canale Youtube

Il canale di Massimo Polidoro in cui si parla spesso di come la narrazione su internet fa nascere complotti e su come ci si informa bene per evitare di credere a tutto quelle che dice il web

E per ora è tutto gente, buona vita.

Commenti

  1. Mi avevano segnalato quest'opera, ma in effetti la tua ottima recensione ha sollevato i miei dubbi..tutte queste opere finiscono per creare quell'effetto panico tipico di alcuni programmi televisi di approfondimento che infatti ho smesso di guardare.
    I social sono una brutta bestia, ma mi son reso conto che in passato li ho demonizzati spesso, invece sta alla nostra responsabilità curare bene il nostro orticello (in questo caso non ha valenza negativa) e non farci condizionare dai complottismi e dalle fake news che ci circondano, o dalle polemiche politiche urlate..Chiaro che il problema c'è, eccome, perché ci sono appunto persone che sono plagiate da questi contenuti "complottisti" e fuorvianti. E questo lavaggio del cervello è molto più incisivo di quello che faceva la televisione..Ma certo non possiamo avere la presunzione di poter cambiare il mondo o gli altri; dobbiamo solamente cercare di comportarci al meglio noi. Fare tutti la nostra parte, per rendere i social e il mondo migliore :)

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    1. Sono d’accordo con te. La misura delle cose te la da il fatto che tanti che lo vedono poi vanno sui social con slogan tipo “aprite gli occhi”, “siamo dei prodotti” e “i social ci stanno uccidendo” e generano un effetto straniante: come cercare di sollevare un secchio mettendoci i piedi dentro

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