LA STANZA: IL FILM CHE CE LA FA...

 


...FORSE...

 

Il primo film datato 2021 su cui ho messo gli occhi, in una sonnacchiosa domenica pomeriggio, è La Stanza, scritto e diretto da Stefano Lodovichi, un thriller italiano drammatico come lo definiscono nel catalogo di Amazon Prime Video, nato dall’idea del regista di realizzare un documentario sul fenomeno degli hikikomori cioè quelle persone che decidono di isolarsi completamente dalla vita sociale. Il progetto è poi maturato in un film che è stato distribuito in streaming a partire dallo scorso 4 Gennaio.

Il film inizia con una donna (Camilla Filippi) affranta, vestita con un abito da sposa dismesso e sporco, che in bilico su una finestra spalancata sta per buttarsi di sotto. All’improvviso viene scossa dalla sua trance dal campanello. Alla porta si trova un uomo (Guido Caprino) che riesce a farsi accogliere all’interno dalla donna dopo qualche scambio di battute: capiamo che la casa è in realtà un albergo che sta andando in malora ma sono i dialoghi tra i due a prendersi la scena e a cominciare a farci congetturare su cosa diavolo stia succedendo.

Questo è proprio il miglior pregio ma anche il peggior difetto di La Stanza.



L’idea di ambientare il film all’interno di una casa e di rendere la casa stessa quasi un personaggio della storia è sicuramente interessante, specie se poi questa soluzione narrativa viene assecondata dai dialoghi dei protagonisti con frasi sussurrate, accennate e spesso lasciate a metà, dagli sguardi significativi e dai comportamenti che ci sembreranno alquanto fuori registro rispetto alle impressioni iniziali. Però non ci scrolleremo mai di dosso l’idea che quello che stiamo guardando abbia qualcosa di strano, di malato, come un sentore amaro e sgradevole in un dolce che dovrebbe invece avere tutt’altro sapore.

Purtroppo per il film quel sentore, a volte flebile e quasi irriconoscibile, si prende la scena e fa percepire alcuni particolari come se fossero inseriti a forza nella narrazione e portati alla nostra attenzione in maniera troppo evidente, quasi a costringerci a notarli. Ciò rende la visione un po’ troppo meccanica e non permette alla sospensione dell’incredulità di fare il suo lavoro cosicché quando arriva il momento topico di emozione e sorpresa ce ne sono poche e l’unico commento che ti viene da fare è: si, ci può stare.



Forse Lodovichi non voleva stupire, ma piuttosto voleva rimanere all’interno di una narrazione metaforica che poi veniva impreziosita dall’elemento surreale però il fatto è che, dopo che avete congetturato per un’ora sul senso della storia e fatto ipotesi su cosa stia accadendo, quello che arriva non è una spiegazione illuminante ma sembra più una soluzione sbrigativa, fantasiosa e se non prevedibile quantomeno banalotta per costruire il finale.

Per dire, il fatto che il film parli degli hikikomori a me non era venuto per niente in mente durante la visione, l’ho scoperto andando a sbirciare online, perché il focus della storia sembra essere concentrato su altro e solo per pochi minuti si concentra su questo tema. Il finale, poi, mi ha costretto a fare un grande sforzo di accettazione per non liquidarlo con una classica espressione che si usa dalle mie parti: a coda di topo. Come a rappresentare qualcosa di raffazzonato e sbrigativo per concludere velocemente il tutto.



Il dolce/amaro di cui parlavo prima si riflette anche nella recitazione. Se Guido Caprino è bravissimo a gestire le emozioni e l’atteggiamento complessivo del suo personaggio e delle evoluzioni dello stesso all’interno della trama, la Filippi e Edoardo Pesce che interpreta il di lei marito (attore molto dotato che ho apprezzato nella serie Romanzo Criminale e in Dogman) sono di un piattume fastidioso e mi hanno dato la sensazione di essersi trovati lì per caso (Pesce) e di non riuscire a recitare cambiando registro assecondando l’evolversi della storia (Filippi). Lei, in particolare, inizia piangendo, finisce piangendo e piange per gran parte del film e sebbene i motivi per cui lo faccia sono sempre diversi, non c’è un guizzo o un cambiamento nelle varie fasi e quindi risulta tutto un po’ fiacco e costruito. Quando non piange invece è proprio insopportabile sia per atteggiamento che per tono di voce, ma credo che questo facesse parte del personaggio.

Critiche a parte, La Stanza è un film che ci prova tanto e forse non ci riesce ma mi sento di lodare chi prova a fare film di genere in Italia e visto che cinematograficamente parlando non riusciamo a scrollarci di dosso la commediazza becera e ignorante, film come questo sembrano i vagiti di un nuovo modo di fare cinema, più autoriale e più impegnato. Quindi se anche La Stanza è un film che non mi ha convinto e che non riguarderei neanche sotto tortura, ammetto che lo consiglierei a chi è appassionato di cinema. Vedi mai che magari ad altri l’idea del regista arriva diversamente di quanto non abbia fatto con me.

Veniamo ai miei voti:

Storia: 5

Personaggi: 5

Tematica: 6

Effetto Sorpresa: 4

Tecnica: 6

MEDIA: 5.2

 In questo momento La Stanza è fanalino di coda nella Classifica 2021 (guardala QUI) guidata con autorevolezza da Soul (QUI la recensione).


E per ora è tutto gente, buona vita

Commenti

  1. Sia Caprino che Pesce sono ottimi attori ma non sempre, sopratutto Caprino sono stati valorizzati al loro meglio. Per quanto riguarda invece la Filippi, beh su di lei provo sensazioni ambivalenti, probabilmente dipende dal fatto che l'ho sempre vista inserita (a volte anche a sproposito) in decine di fiction Rai di poco conto, come "Compagni di Scuola" o "Stiamo Bene Insieme"o "Il Capitano 2". Insomma sicuramente un vera prezzemolina del piccolo schermo, ma in produzioni francamente dimenticabili.
    Parere personale.

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    1. Hai ragione sulla Filippi, fa molta fatica ad allontanarsi dai personaggi interpretati in quelle produzioni televisive. Peró cavolo, in alcune scene di questo film la recitazione proprio non la mette in scena

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    2. Guarda sarò ancora più sincero, Camilla Filippi -secondo me- fa parte di quella tipologia di attrici (un'altra è Irene Ferri) nè eccessivamente belle né troppo dotate artisticamente che la Rai metteva un poco ovunque solo per andar sul sicuro ma che -sempre secondo me- non riuscivano ad andare oltre uno standard minimo di recitazione.

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    3. Meglio di così non potevi dirlo

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