A CLASSIC HORROR STORY: VA BENE, MA...

 


HORROR IN CHIAVE ITALIANA?

 

Verso la metà dello scorso luglio non c’era blog o sito di cinema che non trattasse A Classic Horror Story, un film italiano horror con fortissime influenze folkloristiche nostrane e quintali di citazioni cinematografiche ai film dell’horror più classico come La Casa o il più recente Midsommar (ne abbiamo parlato QUI). Io stesso ho letto dodici recensioni sul film per cui ho deciso di vederlo con attenzione non appena le acque si fossero calmate per non essere condizionato da stroncature e infiorettature.

Se è vero che il nostro cinema fatica a supportare i generi è anche vero che spesso scommettere su un particolare tipo di film può rivelarsi un errore visto che il pubblico italiano generalista ha la memoria cortissima e un’abitudine al prodotto di qualità vicina allo zero.

E allora mi immagino i registi Roberto De Feo e Paolo Strippoli insieme agli altri sceneggiatori di A Classic Horror Story che decidono di seguire una direzione netta: portare sullo schermo una storia d’orrore fortemente radicata sul territorio italiano (Calabria) che attinga prepotentemente dall’immaginario folkloristico regionale e inserisca degli elementi di richiamo a film che hanno fatto la storia del genere horror.

La scommessa è servita: se lo fai bene hai stravinto, in caso contrario hai tra le mani il flop dell’anno. Ci vuole un gran coraggio.



Parere fortemente personale: scommessa vinta fino a un certo punto, bisogna capire quanto l’ovvio e il già visto affossino la godibilità del prodotto.

Come al solito parto con un discorso spoiler-free ma più in là vi avviserò dove iniziano gli spoiler così da poter interrompere la lettura e, se volete, andare a vedere il film e tornare a leggere.

Cinque persone condividono un camper in car sharing per raggiungere il Sud Italia. Il gruppo è composto dal logorroico Fabrizio, proprietario del camper, dallo scontroso Riccardo, dalla timida Elisa e da una coppietta straniera, Will e Sofia. I ragazzi fanno quello che si fa di solito quando si deve ammazzare il tempo durante un lungo viaggio in macchina cioè chiacchierano per conoscersi, cantano e bevono finché durante la notte non incappano in un piccolo incidente di percorso dal quale inizia la loro terribile avventura tra i boschi calabresi.

Piccola nota personale: guardando il film mi sono ricordato di una volta che affrontando il lungo tragitto Roma-Sicilia, all’ingresso della Calabria ho sbagliato svincolo e mi sono ritrovato a fare quasi 100km di deviazione, in piena notte, nei boschi calabresi. Quelli sono posti molto suggestivi in cui ti aspetti da un momento all’altro che qualcosa balzi fuori dalla vegetazione con un machete o una motosega in mano.

Comunque, da questo momento il film è un continuo bombardamento di citazioni cinematografiche e se vi va di giocare a indovinarle tutte potete tranquillamente farlo senza la paura di perdere il senso della storia anche perché il senso finale di questo film è stata la mia più grande delusione. Se mi fai vedere un’ora e mezza di citazioni horror mi aspetto che il finale sia una bomba di originalità ma se diventa una minestrina riscaldata allora la cosa mi disturba parecchio.



Peccato perché i presupposti per fare qualcosa di originale c’erano tutti e nonostante quel fastidioso senso di déjà-vu, tutto sommato A Classic Horror Story si difende anche molto bene soprattutto grazie alla recitazione di Matilda Lutz (Elisa) e Peppino Mazzotta (Riccardo) ma anche per la scelta di una location ad hoc e di una fotografia che la esaltava. In ultimo anche una bella regia che ci regala alcune scene veramente eccezionali. Ripeto: peccato!


Altra pietra tombale del film è la prevedibilità. Io che non sono un appassionato di film horror e ne vedo veramente pochi ho indovinato gran parte di quello che sarebbe successo, anche una specie di plot twist fondamentale, nei primi quindici minuti del film. E non credo di essere tutto ‘sto genio del cinema quindi penso che sia proprio calibrato male il film stesso.

Prima dell’analisi più dettagliata un ultimo commento: A Classic Horror Story è un film pensato bene, ma riuscito così così. Per qualcuno quella è la migliore espressione dell’horror e il fatto che siano stati tirati dentro elementi della cultura regionale italiana supportati da citazioni di film storici è un valore aggiunto. Per me no, invece. Comincio a essere stufo di vedere osannati  film come questo dove tutto è bello, sbrilluccicoso e artificioso: la storia che racconta il film è macabra, malata e spaventosamente verosimile nel mondo in cui viviamo. Bastava solo rimanere sul realismo per chiudere un film vincente.

Voti.

Storia: 5
Personaggi: 5
Tematica: 7
Effetto Sorpresa: 3
Tecnica: 6.5

MEDIA: 5,3

Se non avete visto il film per ora è tutto gente. Se lo avete visto buona parte spoiler.

Buona vita

 

 


HIC SUNT SPOILER!!

Quali erano le probabilità che quel personaggio che sembrava il più scemo e innocuo fosse in realtà coinvolto del misfatto?
Ve lo dico io una su...una. Lo abbiamo visto un sacco di volte in horror, thriller e storie di questo tipo. Plot twist telefonato che più telefonato non si può.

Ma la cosa in assoluta più fastidiosa per quanto mi riguarda è la brutta contestualizzazione.

Tu mi vuoi trasportare in una storia horror dove cinque persone in modo misterioso si perdono in un bosco a km dalla più vicina strada senza sapere come ci sono arrivati. In quella zona gli smartphone non hanno segnale quindi i malcapitati sono isolati e in completa balìa dei loro carnefici. Quindi questa gente che all’apparenza sembra uscita da The Village approfitta della scarsa copertura telefonica oppure riesce a interferire con le reti nazionali, a me vanno bene entrambe, per isolare alcuni viaggiatori incauti trascinati lì dal complice e realizzare snuff movie con la connivenza della malavita organizzata. Ok, ci sto.

Però, se contestualizzi male poi io comincio a farmi delle domande e se mi faccio delle domande riduco il finale del film a brandelli.

In una scena si vedono più di 10 macchine abbandonate in una radura, i veicoli di altri malcapitati che sono finiti tra le grinfie del gruppo di criminali. Stimando almeno tre occupanti per vettura in modo che il rituale di Osso, Mastrosso e Carcagnosso si possa svolgere al completo significa almeno 30 persone. E’ ragionevole che questo numero di persone sparisca senza che nessuno si insospettisca e inizi a indagare?

Elisa viene lasciata per ultima perché ormai il rituale si è compiuto e il cattivo di turno deve spiegarci perché fa quello che fa. Tutto abbastanza meccanico e stantio. Perché un fanatico maniaco omicida sente il bisogno di spiegare tutto a una ragazza conosciuta due giorni prima e che potrebbe rappresentare un pericolo?

E poi c’è il finale, la vera spina nel mio fianco.

Se il film fosse finito con Elisa che uccide Fabrizio a colpi di doppietta mi sarei alzato felice dal divano. Nel pittoresco teatro dell’assurdo che mette in piedi questo film ci può stare che l’ultima vittima in uno slancio di rabbia e autoconservazione dimentichi le ferite e la sofferenza per accanirsi contro il suo aguzzino.. Finale giusto per me.

Invece no, ci sono ancora delle scene, purtroppo. Ci abbiamo dovuto mettere per forza la sottile critica alla società dei social network e dello smartphone, all’indifferenza di branco e alla stupidità collettiva in un modo gratuito e forzato con Elisa che praticamente si suicida stringendo le mani al ventre. Una stucchevolezza infinita che distrugge il castello emotivo che il film aveva faticosamente creato.

Nel saggio Danse Macabre Stephen King sostiene che in una buona storia horror la porta deve rimanere sempre socchiusa, devi vedere quello che c’è in parte e il resto lo devi intuire così la tua immaginazione fa il resto e si ottiene la sospensione dell’incredulità. In questo A Classic Horror Story fallisce al cento per cento spalancando la porta e accendendo la luce.

Infine, la bilancia delle emozioni è completamente sballata. Le emozioni in un film horror sono tutto e si devono far montare nel giusto ordine per livello di impatto: curiosità – inquietudine – disgusto – spavento – paura – rabbia. Se spezzi questa catena e mi arrivi alla rabbia (Elisa che uccide Fabrizio) per poi andare verso la compassione (Elisa che si suicida proteggendo il bambino che porta in grembo) mi sballi tutto il costrutto emotivo del film.

 Insomma, speravo di più e sono rimasto deluso.

 

 

 

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