Come parlare di Ave Cesare di Joel e Ethan Coen?


Come diavolo si fa a recensire un film dei fratelli Coen?

Joel e Ethan Coen non li puoi spiegare senza sottolineare il genio che fa da denominatore comune a tutti i loro film, ma il genio non si può mostrare, insegnare e tantomeno spiegare: il genio si può solo percepire. E non tutti lo percepiamo allo stesso modo.

Però un concetto fondamentale lo possiamo capire tutti: quando guardiamo un film, per quanto una determinata scena sia ben fatta, credibile, persino meravigliosa, essa non è altro che la migliore tra le finzioni create per simulare la realtà.

E, come cantano i Marta sui Tubi, l’arte non paga i diritti d’autore alla realtà.

Forse alla base dell’idea di Ave Cesare, l’ultima fatica dei Coen, c’è proprio questo rapporto subdolo tra la realtà e la finzione, un rapporto che se saputo gestire crea la magia del cinema anche se sappiamo che dietro a ogni film c’è un mondo che va avanti grazie alla finzione: è quasi come il bispensiero di George Orwell, la realtà c’è e non c’è, la finzione c’è e non c’è. Chi sa distinguerle?

In quel mondo fatto di finzioni reali e realtà finte solo un personaggio dall’animo forte e dai modi risoluti può portare ordine e tenere le redini della situazione. Quell’uomo è Eddie Mannix, fixer di uno studio di produzione americano, timoniere di un bastimento carico di sogni che si reggono su pilastri di finzione. Ma Eddie non è un personaggio finto, tanto quanto non sono finti gli attori che recitano nei film, i registi che decidono le inquadrature, gli sceneggiatori che scrivono i film e le comparse…be’, le comparse non sai mai cosa gli stia passando per la testa.

Se, come scrive in un suo saggio lo scrittore Chuck Palahniuk, un film è la tua vita ma rielaborata, forgiata a colpi di martello su una buona sceneggiatura e interpretata sul modello di un successo al botteghino allora sarà pur vero che Ave Cesare non è un film che vuole prendere in giro Hollywood e l’americanità (o almeno non solo) ma è una sorta di metafora della vita stessa in cui spesso non capiamo se siamo attori o comparse, sceneggiatori o registi, tecnici audio o cameraman.



Eh già, come fai a spiegare i Coen…

Con Ave Cesare i Coen tornano sui registri narrativi di Burn After Reading e The Big Lebowski sfruttando i punti forti del loro saper fare cinema. Torna l’ironia nei confronti del pregiudizio e dello stereotipo, la messa alla berlina di un modo di pensare tipicamente d’oltreoceano secondo il quale tutto ciò che non è partorito da mamma America non va preso sul serio: ed ecco che, come i nichilisti ne Il grande Lebowski sono rappresentati come macchiette, anche i comunisti di Ave Cesare sono delle sagome; come i servizi segreti di Burn After Reading sembrano gestiti da degli idioti patentati anche Hollywood in Ave Cesare sembra reggersi in piedi su un velo di cipolla che separa quella realtà e quella finzione di cui parlavo all’inizio del post.

Per qualche strano motivo Eddie Mannix mi ha ricordato il Drugo. Sarà stato quel modo di riempire le scene, quella presenza essenziale ma non invadente e quel suo essere insieme protagonista e antagonista della storia.

E poi, sarà un caso ma tutte le volte che George Clooney lavora con Joel e Ethan Coen dà il meglio di sé. E’ come se solo i Coen gli lascino lo spazio o riescano a tirare fuori tutta la sua bravura quando invece se lo vedi in altri film stai li a chiederti: qual è la bravura di Clooney?



Come spiegare Ave Cesare di Joel e Ethan Coen?


Illogico, citazionista, ironico, spregiudicato, sincero. Praticamente: un film dei Coen.

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