E’ GIUSTO ABBASSARE IL LIVELLO?

 



SEMPLICITA’ vs DIFFICOLTA’



Ho sempre pensato di essere in un certo senso un po’ pazzoide visto che ho l’abitudine di leggere più libri contemporaneamente. Di solito un romanzo e un saggio, in alcuni casi un romanzo e due saggi di tipo diverso.


Però, da quando ho letto che il nostro cervello cerca di massimizzare l’assimilazione di informazioni grazie al modo in cui si è evoluto (Distracted Mind di Adam Gazzaley e Larry D. Rosen) e scoperto che esiste il cross-reading, ovvero l’abitudine di leggere più cose in contemporanea, mi sono tranquillizzato e detto: alla fine se non do fastidio a nessuno possono fare come mi pare.


Quando leggi contenuti diversificati è fondamentale imparare a fare i conti con lo stile comunicativo e, per quanto riguarda i saggi divulgativi, confrontarsi con i vari linguaggi tecnici che spesso spingono al limite le tue competenze cognitive e ti aiutano ad allargare di qualche centimetro la bolla della tue conoscenze.
Va da sé che in alcuni casi è complicato capire cosa l’autore stia dicendo e a quel punto le strade possibili sono solo due:

  1. Lasciar perdere
  2. Sforzarsi di capire, studiare il materiale, mettere alla prova la propria pazienza e dedizione (se interessa l’argomento)


Eppure sempre più spesso vedo che c’è una ricerca di un linguaggio semplificato (non semplice, eh!) per non creare particolari “problemi”. Si sceglie di leggere e ascoltare solo chi spiega le cose in modo semplice anche se le cose del mondo in cui viviamo non sono affatto semplici e fin troppo spesso la semplificazione è utile in ambito didattico e conoscitivo (con le opportune approssimazioni) ma risulta superficiale per una comprensione ragionata di un fenomeno.


La memetica, poi, ovvero la trasmissione di informazione attraverso singole unità di conoscenza (i meme) penso stia trasformando in modo sostanziale la comunicazione appiattendo tutto il discorso conoscitivo sull’anello debole della catena rappresentato da coloro che “non vogliono sbattimenti” ovvero complicazioni, quelli che vogliono che tutto sia pensato e ragionato da altri: loro si limitano ad essere in accordo o meno.


Questa dinamica del tutto semplice e superficiale è totalmente contraria rispetto all’evoluzione dell’intelligenza umana. Se non spingiamo le nostre capacità cognitive al loro limite e se non ci confrontiamo mai con qualcosa di difficile, che comporta fatica, studio, ragionamento, rischiamo di creare una società mentalmente atrofizzata in cui pochi pensano per tanti e tanti si allineano alle idee di pochi come se tifassero per una squadra di calcio piuttosto che per un’altra.


Vi immaginate un mondo in cui la cura per una malattia grave venga scelta per acclamazione popolare piuttosto che dalla sperimentazione medica? Una realtà in cui ciò che è difficile lo è solo perché nessuno riesce a spiegarlo o a capirlo fino in fondo avendo rinunciato alla fase di ragionamento e studio?


Conosco bene il fenomeno poiché facendo il tutor di matematica e fisica spesso mi trovo a spiegare concetti astrusi, difficili da afferrare e in alcuni casi anche abbastanza inutili nella vita pratica di una persona. Quello che mi viene da dire ai ragazzi è questo: non è l’argomento in questione a rappresentare una difficoltà oggettiva ma la tua predisposizione mentale verso di esso. L’argomento può essere difficile a priori, comportare ore di studio e ragionamenti, decine di esercitazioni pratiche ma se lo affronti con metodo disciplinato, dedizione consapevole e serietà in buona parte lo farai tuo, quel tanto che basta per passare il compito oppure abbastanza da congratularti con te stesso per aver vinto la sfida.


Rinunciare alla difficoltà per partito preso, per pigrizia o per arroganza è il peggior torto che ognuno di noi può fare alla propria intelligenza. 


E voi, che rapporto avete con il difficile?



Per ora è tutto gente, buona vita

Commenti

  1. Il difficile stimola spesso, la difficoltà crea adrenalina e lancia la sfida: visto in quest'ottica diviene omaggio alle proprie capacità, e spesso anche a superarne i limiti.
    A meno che tu non pretenda di far vincere la Champions alla Juve.. ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esatto, hai colto il senso del mio pensiero. Stimolo, curiosità, sfida, miglioramento.

      Quanto agli amici juventini non me ne vogliano ma in Italia c'è sempre stata una sola squadra in grado di spaccare il mondo in Champions ed è il Milan:oggi è una squadra decaduta e in ricrescita (spero per chi la tifa) ma quei 7 trofei in bacheca e il modo come sono state vinte parlano chiaro

      Elimina
  2. Io credo che si debba anche contestualizzare la sfida al "difficile". Cioè: in campi che si amano, penso sia davvero una sorta di sfida stimolante, come dice anche Franco. In altri ambiti, come per esempio, ahimè, la matematica, ho sempre avuto la tendenza a lasciar stare... perché non riuscivo ad appassionarmi. (e i risultati si sono visti...)
    Sui libri: mi è capitato (e mi capita, anche se più di rado per via del tempo a disposizione) di leggere più libri in contemporanea, ma cerco sempre di usare la formula romanzo-saggio o romanzo-antologia di racconti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Una cosa è difficile proprio perché non afferisce al mondo della passione e comporta una sorta di spirito d'avventura e di voler rischiare:
      La matematica rappresenta in pieno questa sfida per molte persone e l'approccio passionale te lo sconsiglio vivamente perché causa solo frustrazione: come ci si può appassionare a simbolacci, numeri e regole astruse?

      Elimina

Posta un commento