Da un romanzo di Carl Sagan
Nell’autunno del 1997 usciva nelle sale italiane Contact,
uno dei pochissimi film a riuscire a coniugare gli aspetti prettamente
scientifici dell’esplorazione spaziale e della ricerca di vite extraterrestri
con le suggestioni delle grandi storie di fantascienza. Sullo sfondo rimaneva,
però, il ventaglio di sfumature create dall’eterno dibattito tra Fede e Scienza
e, ultimo, ma non per importanza, il tema della caparbietà, della fiducia in se
stessi e nei propri mezzi.
E’ un miracolo che un solo film riesca a contenere tutto
questo.
La genesi di Contact è molto articolata e si potrebbe
riassumere sostanzialmente in due passaggi:
- Durante gli anni '60 Carl Sagan lancia il progetto SETI con
l’obiettivo di scandagliare le frequenze audio dell’universo profondo a caccia
di suoni che potrebbero provenire da forme di vita evolute (giusto per
semplificare, eh!).
- Alla fine degli anni '80 Carl Sagan e la moglie Ann Druyan collaborano attivamente
alla stesura di una sceneggiatura fortemente voluta da un’amica dello stesso
Sagan da poco entrata a far parte di una nota casa di produzione. Ne viene
fuori un trattamento corposo che poi diventerà l’ossatura della sceneggiatura
su cui lavorerà Robert Zemeckis.
Sagan e consorte ampliano la trama centrale del romanzo
Contact pubblicato nel 1986, scrivono il personaggio di Ellie Arroway
ispirandosi alla dottoressa Jill Tarter (che lavorava al SETI) e imbastiscono
un costrutto roccioso sul tema delle implicazioni religiose e scientifiche di
un possibile contatto con forme di vita aliene, il tutto impreziosito dall'esperienza di Carl Sagan e del suo staff con il progetto SETI.
Ed è a questo punto che Sagan fa la magia. Con una maestria
che è veramente roba da pochissimi, lo scienziato riesce a inserire parti di sé stesso in molteplici personaggi del film: l’arguta fissazione di Ellie, la
supponenza esasperante di David Drumlin, la competenza appassionata di Kent, la
sicumera romantica di Joss Palmer. Sagan è in tutti questi personaggi, nella
storia del film, nella genesi del film e persino nell’eredità che questo film ci
ha lasciato.
Ellie Arroway (Jodie Foster) è una ricercatrice specializzata in
radiotelescopi e lavora per un progetto governativo che ha come obiettivo
quello di dimostrare l’esistenza di vita aliena ascoltando i suoi dello spazio.
Come tutti i progetti di questo tipo, i fondi sono sempre pochi e come sempre
accade quando i burocrati prendono il controllo, poiché non c’è applicazione
militare per il progetto e vista la scarsità di risultati, il responsabile
David Drumlin (Tom Skerrit) decide di staccare la spina. Ma è proprio qui che arriva la
trasmissione che tutti si aspettavano e il mondo di Ellie comincia a cambiare
per sempre.
Il primo contatto con gli alieni è un suono che viene dalla stella Vega, 25 anni luce dalla Terra ovvero più o meno 236mila miliardi di km( la distanza corrisponde al giro del mondo lungo l'equatore terrestre ripetuta poco più di 37 miliardi di volte). Qualcuno c'è e vuole comunicare con noi ma si trova a una distanza impossibile.
E, soprattutto: cosa vorrà mai dirci?
Il dolore per la morte del padre quando era solo una piccola marconista amatoriale, gli anni a sentirsi diversa perché donna troppo
intelligente in un mondo fallocentrico e le troppe delusioni e frustrazioni
hanno fatto diventare Ellie una scienziata agnostica votata alla dimostrazione
rigorosa senza lasciare spazio alla fede. Argomento, questo, che risulta
preponderante nel rapporto con il pastore evangelico Joss Palmer (Matthew McConaughey) e che
risulterà determinante alla fine del film.
Se passi anni attaccata a un paio di cuffie, sicura di
trovare qualcosa un giorno allora non puoi non comprendere perché qualcun altro
possa trovare serenità spirituale nel credere a un’entità onnipotente e
onnipresente. Il confine tra fede e scienza a volte può farsi molto sottile e
diventare indistinguibile se osservato da troppo lontano.
La grandezza di Contact è quella di riuscire a stare
in equilibrio su quel confine rendendo la scienza meno fredda e la fede meno
astratta: è nel concretizzare la meraviglia che il film mostra tutta la sua
cifra stilistica.
Che poi questo è proprio il lavoro di una vita per Sagan. Studiare, semplificare, ridurre all'evidenza accettando di sapere molte meno cose rispetto a quelle che non si sanno.
Credo che questo sia il post più farraginoso che io abbia
mai scritto e sono convinto che il motivo stia nel fatto che sto parlando di
uno dei pilastri della mia formazione letteraria e cinematografica. Poche volte
mi sono trovato così pieno di cose da voler scrivere da non riuscire a trovare
un filo logico e a seguirlo. Spero di essere riuscito a trasmettere anche solo
il 10% della grandezza che penso questo film abbia e anche un po’ di più della
stima che provo nei confronti di Carl Sagan.
Per ora è tutto gente, buona vita.
Non è ferraginoso, anzi: sei riuscito a dire tutto il necessario restando attento a non dire troppo, e infatti mi hai incuriosito molto.
RispondiEliminaIo lo conosco solo di nome, che ti dissi nell'altro post... non sapevo che trattasse una storia simil-vera, mi piace quando un autore mette se stesso dentro i personaggi!
Ma non lo danno spesso in TV, giusto?
O me lo perdo io?
Moz-
sono contento di averti incuriosito. Lo danno almeno una volta all'anno ma dovrebbe stare su Netflix o Prime Video se non l'hanno tolto.
EliminaLo vidi la prima volta su SKY, o meglio... all'epoca si chiamava Tele+. Ha contribuito a rafforzare la mia passione per l'Astronomia. Film affascinante come pochi...
RispondiEliminaEsatto: affascinante e ti fa venire voglia di saperne di più. In questo rispecchia benissimo la concezione di divulgazione di Sagan.
EliminaAl di là del film, hai scritto una recensione superba. La frase chiave è questa:
RispondiElimina"La grandezza di Contact è quella di riuscire a stare in equilibrio su quel confine rendendo la scienza meno fredda e la fede meno astratta".
Bisognerebbe scolpirla in una targa, questa tua frase...bellissima.
La scienza meno fredda (quello che rimprovero a certi virologi scarsamente comunicativi) e la fede meno astratta (d'altra parte Gesù Cristo era tutt'altro che astratto nella sua predicazione). Perfetto!
Grazie mille. Cerco sempre di costruire pensieri più inclusivi possibile. D'altra parte la Storia ci insegna che scienziati e matematici nell'antichità e nel medioevo erano anche filosofi e religiosi.
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