Dogman è uno dei film italiani di cui si è parlato
tantissimo nelle scorse settimane, superato solo dalle attenzioni, peraltro non
giustificate, nei confronti di Loro e relativo sequel.
Matteo Garrone torna a parlare di provincia e di criminalità, di
violenza gratuita e di disperazione sociale e lo fa con un film che ricama
sapientemente intorno a una storiaccia della periferia romana che mostra ancora
una volta la faccia oscura della realtà periferica della capitale.
Fino a metà film mi sono chiesto che bisogno c’era di un'altra
storia che portasse all'attenzione delle masse una storia di omicidio avvenuta
trent'anni fa, poi il click: il film vira generosamente verso una dinamica
psicologica che da senso a tutta la prima parte.
La storia di Dogman è molto semplice. Marcello è un piccolo
criminale che gestisce un negozio di toilettatura per cani come copertura. E’ un
uomo mite e un po’ tardo, incapace di imporsi e che subisce le angherie di
Simone, il bullo di quartiere.
Fin qui, nulla di sensazionale anche se la recitazione di
Marcello Fonte e la regia di Garrone sono all'altezza delle lodi ricevute, poi
però il click di cui parlavo prima.
Ci si concentra sulla psicologia di Marcello. Il mite
Marcello che viene dilaniato tra la voglia di riscattare una sorte poco felice
e la gestione del rapporto con la figlia in un contesto sociale in cui le
ristrettezze economiche e la disperazione spingono le persone a prendere
decisioni poco morali come possono essere spacciare droga, partecipare a rapine
o progettare presunti omicidi.
Tutti i personaggi della storia sono negativi. C’è chi ha
accettato la propria triste condizione e vive di una quotidianità senza speranza,
chi ha fatto del crimine la propria quotidianità e chi invece vede la luce in
fondo al tunnel ma per raggiungerla è convinto che si debba passare dalla parte
più buia del tunnel.
Tutti questi personaggi sono statici, servono a fare da
sfondo, a rendere evidenti le gesta di Marcello, unico personaggio dinamico di Dogman:
Marcello è protagonista di una evoluzione di cui egli si rende conto solo dopo
aver compiuto delle azioni che mai avrebbe immaginato di fare.
Forse la disperazione fa proprio questo: spingere le persone
a superare i propri limiti. Non sempre, purtroppo, in senso positivo e quasi mai con risultati apprezzabili.
In ultima analisi considero Dogman un buon film.
Tecnicamente perfetto, con una sceneggiatura potente e una regia in linea con
la cifra stilistica del miglior Garrone: non sarà un capolavoro e nemmeno una
novità assoluta nel panorama del cinema di genere (già Caligari aveva detto abbastanza
sull'argomento) ma rappresenta quella fiamma che possiede solo il cinema
italiano e che lo definisce nei confronti del cinema mondiale. Una fiamma che
non tutti i grandi registi italiani contemporanei riescono a tenere viva.
Personalmente credo che Matteo Garrone stia rappresentando con le immagini la sua personale e attuale versione del ciclo dei vinti che fu di Giovanni Verga. Passano gli anni, cambiano le società e le persone ma ci saranno sempre due mondi inconciliabili tra loro: quello dei vincitori e quello dei vinti. Capire chi appartenga all'uno e chi all'altro oggi è più difficile, forse, di quanto non fosse al tempo di Verga ma, Garrone sembra aver trovato la chiave di volta e ce la ripropone nei suoi film.
A noi l'onere e l'onore di coglierla.
Buon cinema e buona vita a tutti.
Giustamente, adorando il ciclo dei vinti di Verga, ho adorato anche questa storia di umanità triste e sconfitta, incapace di rialzarsi e costretta a cadere ancora più in basso a causa della disperazione.
RispondiEliminaOk, l'han buttata sullo psicologico, sull'analisi dei personaggi e del mondo che li circonda.
RispondiEliminaMa ora aspetto Er Canaro, l'altro film, quello torture porn :)
Moz-
Ho letto che in realtà le torture non ci sono mai state ma solo un infierire sul cadavere.
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