AMICI DI POLEMOS
Tra le tante notizie collegate con l’ultima edizione del
festival di Sanremo una che ha generato un lungo codazzo di polemiche riguarda
una giovane musicista, Beatrice Venezi, che ha chiesto al conduttore Amadeus di
voler essere chiamata direttore e non direttrice d’orchestra. Nelle ore
successive a questo fatto sono stati in tanti a sollevarsi, chi in difesa e chi
contro la Venezi, consapevole, secondo i primi della limitatezza della lingua
italiana, e rea, per i secondi, di sminuire la lotta per la parità di genere in
cui moltissimi credono e in cui tutti dovremmo impegnarci a fare la nostra
parte.
Sia come sia – io credo che la Venezi abbia leggermente
danneggiato la causa della parità di genere – la questione dell’utilizzo
maschilista della lingua italiana sta diventando sempre più importante tanto
che in questi giorni si sta combattendo in maniera sempre più aspra una vera e
propria guerra grammaticale a causa della questione del maschile sovraesteso o
generalizzato che dir si voglia.
Nella pratica succede questo.
Se Filippo e Matteo stanno disturbando la lezione allora la maestra li
riprenderà riferendosi a loro come bambini; se invece Filippo, Matteo e Sara
stanno disturbando la lezione la maestra li chiamerà sempre bambini e non
bambine.
Questo utilizzo della desinenza maschile per definire un
gruppo eterogeneo sta animando il dibattito pubblico sulla parità di genere
spostando il conflitto sul tema della grammatica che, secondo molte
sostenitrici e molti sostenitori più
accesi della causa, sarebbe retaggio del patriarcato che per secoli ha dominato
in lungo e in largo.
Secondo gli esperti di linguaggio l’italiano manca del
genere neutro che garantirebbe la necessaria parità di genere e questo succede
poiché la trasformazione semantica dal latino all’italiano, mediata dai
dialetti regionali, avrebbe portato a fare delle scelte soprattutto per quanto
riguarda il corretto utilizzo delle desinenze per singolare e plurale.
Il discorso si può affrontare come sta facendo una
moltitudine di persone sui social, ovvero sbraitando offese, vomitando insulti
e salendo sul proprio carro da guerra armi in pugno lasciando indietro solo
feriti e morti, oppure possiamo affrontarlo in maniera costruttiva ammettendo i
limiti della nostra lingua e i compromessi che si devono accettare per riuscire
a comunicare.
Lo psicologo e pedagogista Lev Vygotskij sosteneva che le
funzioni cerebrali di alto livello come il pensiero, la memoria e il linguaggio
si sviluppino attraverso le interazioni con il contesto sociale. In quest’ottica
lo spettacolo che stiamo dando alle più piccole e ai più piccoli è veramente
indecoroso: adulte e adulti che si insultano a vicenda sull’utilizzo di una
vocale piuttosto che un’altra. Chiediamoci se il modo in cui scegliamo di
combattere battaglie inequivocabilmente sacrosante lascino spazio al confronto
delle parti e a quell’inclusione a cui tante e tanti di noi aspirano.
Chiediamoci se l’inclusione che cerchiamo siamo disposte e disposti a
concederla anche noi.
Quasi provocatoriamente la sociolinguista specializzata in
comunicazione digitale Vera Gheno ha proposto una nuova vocale, contenuta nell’alfabeto
fonetico internazionale, che può fungere da “vocale neutra”. Si tratta della
scéva (leggi: shva) ovverosia questa:
Anche se vi sembra mai vista vi stupirebbe sapere in quanti
tra i dialetti italiani si trova questo suono. La parola più famosa è mammeta
nel dialetto napoletano che in linea con quanto detto sinora dovrebbe scriversi
məmmetə. Per la pronuncia, che è tutto un programma, vi rimando alla rete.
Ovviamente pensare che si possa scrivere bambinə o amicə è
una cosa, credere che sia facile modificare la lingua di un popolo è un’altra.
Siamo prontə ad accettare questa sfida?
P.S. A scanso di equivoci e per correttezza vi devo dire che
la stessa Gheno ha più volte dichiarato che ritiene molto difficile se non
impossibile che una lingua moderna sia disposta ad assorbire una nuova vocale,
il che rende un po’ retorica la domanda che vi ho posto prima.
Dal canto mio, credo sia opportuno fare inclusione anche
quando si parla e si scrive se questo è possibile e se non snatura il corpo del
messaggio. Usare l’espressione bambini e bambine, ad esempio, per riferirsi a un gruppo eterogeneo è fattibile e
molto più semplice di pronunciare una vocale stramba.
E’ per ora è tutto gente, buona vita
Comunque Beatrice Venezi ha il padre che è di Forza Nuova, ed è finita pure in copertina del "Primato nazionale" (rivista di CasaPound) per questa sua "battaglia" fonetica, tanto per far capire da che parte è schierata, per carità ci sta che ci siano anche intellettuali di destra in Italia
RispondiEliminaLe battaglie quelle serie!!
EliminaPerché la cosa non mi sorprende? :D
EliminaComunque... battaglie davvero inutili, che spesso vanno a contaminare e banalizzare quelle davvero serie, in fatto di parità di genere...
Da donna mi sento di affermare che l'inserimento del genere neutro nella lingua italiana, così come tutte le polemiche che scaturiscono dall'utilizzo maschilista di alcuni termini, sono delle idiozie.
RispondiEliminaMa davvero dovrei sentirmi inferiore perché alcuni termini non vengono declinati al femminile?
Perdonami ma la risposta è no.
Sono ben altre le lotte per la parità di genere che noi donne dovremmo combattere.
Basti pensare al gender gap sul lavoro. Ecco, questo non lo digerisco, ma che mi chiamino come gli pare!
Sono d'accordo con te. Ci si dovrebbe concentrare sulle battaglie che hanno senso e che possono migliorare la vita delle persone. Questo è solo un modo per inquinare il dibattito
EliminaQuoto Claudia. A me non sposta molto che per esempio, si dica "avvocata" invece che "avvocatessa" o che non si possa rendere il genere neutro, vorrei invece che ci fosse una reale parità di genere, a cominciare da parità di stipendio, e che ci fosse un reale rispetto per tutti. Immagino invece che come al solito ci si concentrerà a guardare il dito anzichè la luna XD
EliminaCondivido in toto il discorso di Claudia: le battaglie femministe (giuste) facciamole per le cose serie, altrimenti moriremo di perbenismo... la lingua italiana è declinata al maschile, e al maschile deve intendersi il genere neutro. Mi pare incredibile che una donna possa offendersi per questo, eppure oggi si leggono (e si ascoltano) obbrobri linguistici di ogni tipo: "ministra", "sindaca", "assessora", "arbitra", roba da far accapponare la pelle. Il colmo si raggiunge con l'asterisco in fondo alle parole (tutt*, car*, bambin*, ragazz*...). Ecco, io credo, semplicemente, che la parità di genere si debba conquistare in ben altri campi...
RispondiEliminaSono d'accordo anche io. Spostare il dibattito su battaglie inconsistenti rovina la causa primaria che è molto più importante
EliminaBellə questə post!
RispondiEliminaVolevo dire la mia su questa assurditə
EliminaEsatto, bambini e bambine.
RispondiEliminaMa nel caso di Sara, che è una, che fai? Bambini e bambina? Sembra anche peggio.
Come fosse canzonatorio, sembra quasi prendere in giro e sottolineare la presenza femminile in modo denigratorio.
Poi, la maestra sgrida, deve essere una cosa secca... quindi un'unica parola, decisa.
Insomma, non penserei a nuove vocali e via dicendo, le battaglia per la parità dei sessi (reale e giusta) sono altre...^^
Məz-
Esattamente
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