RACCONTI SPARSI: IL BUON CONTADINO – terza parte (finale)

 


Terza e ultima parte di questo progetto di racconto lungo. Buona lettura.


LEGGI LA PRIMA PARTE

LEGGI LA SECONDA PARTE

 

>Quale ragazza, Arconti? A questo punto è nel suo interesse continuare a parlare

>La ragazza morta

>In quel caso non c’è alcuna ragazza morta. Guardi che inventarsi delle storie per evitare l’interrogatorio non le servirà a molto...

>La ragazza morta c’era, però il diavolo l’ha portata via

A questo punto Francesco era veramente al limite della pazienza. Aveva seguito un’idea che a primo impatto gli era sembrata geniale, ma poi si era rivelata fallimentare se non una perdita di tempo e pericolosa per giunta. Aveva indispettito un capo brigadiere dei carabinieri senza motivo e adesso questo zotico, dopo giorni di ostinato silenzio, se ne usciva con questa assurdità. Il flusso dei pensieri negativi del criminologo fu però interrotto da Arconti che aveva ripreso a parlare:

>Io, Tommaso e Carluccio ci conosciamo da quando eravamo solo dei ragazzini. Abbiamo fatto insieme le scuole e la guerra e quando i nostri padri ci hanno lasciato i terreni ci aiutavamo a vicenda. Dopo tanti anni passati insieme abbiamo visto la fame, la miseria e la guerra e nessuno di noi avrebbe mai potuto sparare a un altro. Eravamo fratelli di sventura. La storia del confine è una bugia.

>Eppure i suoi due amici si sono sparati a vicenda proprio per quello. Lo hanno anche testimoniato.

>Tommaso parla solo in dialetto stretto e Carluccio è stato ferito alla gola in guerra e non parla proprio. Quello che hanno detto glielo ha fatto dire il diavolo.

>Ancora con questa storia! Arconti, rimaniamo sui fatti.

E Arconti rimase sui fatti e raccontò tutto quello che sapeva.

Una sera di dieci anni prima lui, Tommaso Benci e Carlo Pastori erano a casa di quest’ultimo a bere del vino e chiacchierare dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro. Fuori era buio pesto e si sentiva solo il latrato di qualche cane in lontananza. Mentre erano impegnati in una discussione sulla potatura degli alberi di ulivo avevano sentito un gran vociare proprio fuori e si erano precipitati, fucile alla mano, pensando ai ladri ma in realtà erano riusciti a vedere solo alcuni uomini che correvano tra i campi. Non riuscendo a raggiungerli avevano aspettato un po’ per capire cosa stesse succedendo e vedendo che tutto sembrava in ordine erano tornati in casa e dopo aver bevuto qualche altro bicchiere erano andati ciascuno a casa sua. 

La mattina dopo Aureliano era stato svegliato da un bussare insistente. Era Tommaso, senza fiato e terrorizzato che non riusciva a mettere insieme due parole. A gesti e strattoni era riuscito a far uscire Aureliano di casa e lo aveva condotto  fino a una radura al confine tra il suo campo e quello dell’amico. Sotto gli alberi di ulivo dei quali avevano parlato la sera prima c’era il corpo di una giovane ragazza bionda, tutto pieno di sangue e immobile. Era morta. Mentre Aureliano e Tommaso guardavano il cadavere con gli occhi sbarrati era arrivato anche Carlo e resosi conto di cosa guardavano gli amici era sbiancato. A quel punto Carluccio aveva perso la testa e si era messo a urlare e a piangere così tanto che i due amici avevano avuto paura gli prendesse un colpo e si erano affannati a calmarlo; Aureliano era andato in casa a prendere un bicchiere d’acqua per l’amico e mentre era al lavabo, guardando dalla finestra aveva visto i due amici agitarsi e Carluccio agitare il fucile in aria ed era partito un colpo. In quel mentre, dalla strada interpoderale veniva un polverone considerevole, segno che una vettura la stava percorrendo e infatti un’auto di pattuglia dei carabinieri si fermò di lì a poco vicino alla radura. Ne erano scese due persone in borghese, aveva visto Aureliano, che erano accorse vicino agli amici e avevano strappato di mano il fucile a Carluccio; poi avevano cominciato tutti a discutere animatamente finché uno dei due uomini aveva estratto qualcosa di metallico dalla tasca e lo aveva infilato sia ai polsi di Carlo che a quelli di Tommaso.

Aureliano, sconvolto e impaurito, assisteva alla scena quasi senza emettere fiato, testimone involontario di qualcosa che non riusciva a capire.

Ammanettati i villici, i due uomini avevano deposto il cadavere della ragazza su un telo bianco e dopo averlo sollevato lo avevano messo nel bagagliaio della loro auto richiudendolo. Quindi si erano guardati intorno e avevano visto la casa, uno dei due l'aveva indicata e l’altro si era diretto verso di essa. Ad Aureliano si era gelato il sangue nelle vene e in preda al panico si era nascosto dietro un tendaggio logoro nella speranza di passare inosservato. L’uomo aveva spalancato la porta con un calcio e siccome la casa era un bugigattolo tutto compresso in un unico ambiente gli era bastato fare qualche passo per spaziare con lo sguardo per tutta la dimora. Aureliano non riusciva a vederlo in faccia ma quando passò davanti al suo nascondiglio aveva potuto vedere che sull’avambraccio destro aveva un tatuaggio che raffigurava il volto di un diavolo ghignante. Dopo qualche minuto l’uomo si era stufato e se ne era tornato dal compare lasciando Aureliano in preda al terrore. Con un grande sforzo fisico e mentale egli era tornato alla finestra in tempo per vedere che uno dei due uomini si era già vestito da carabiniere e stava parlando a una radio mentre l’altro, che nella sua testa sarebbe stato per sempre Il Diavolo, stava indossando la divisa in quel momento.

Aureliano non ne poteva più e aveva deciso di scappare da una finestra non visto. Non visto secondo lui, però, come avrebbe scoperto in seguito.

Mentre faceva una pausa dal racconto di Arconti, Francesco ripensò a quello che aveva appena sentito e cercando ispirazione nel fondo della tazzina del caffè ricordò che una quindicina di anni prima, mentre lui era ancora all’università, aveva fatto molto discutere un caso di cronaca nera che riguardava l’assassinio di due ragazze giovanissime a distanza di qualche mese l’una dall’altra. In entrambi i casi i cadaveri erano stati abbandonati nei campi fuori dalla città. Nessuna prova, nessuna traccia e poi all’improvviso l’assassino aveva smesso di uccidere ed era scomparso. Vuoi vedere – pensava il criminologo – che quella misteriosa ragazza c’entrava qualcosa?

L’ultima parte del racconto di Aureliano Arconti permise a Francesco Zappa di capire molto del caso a cui stava lavorando. Molto, ma purtroppo per lui non tutto.

Dopo i fatti di quella notte Aureliano aveva lasciato la zona ed era stato ospitato da alcuni cugini in un podere di un’altra regione lontana centinaia di chilometri. Per quasi dieci anni aveva lavorato coi cugini pian piano dimenticando quell’orrore e quel terrore ma, alla fine, un paio d’anni prima si era deciso, aveva impugnato il coraggio a due mani, ed era tornato per rimettere in sesto il suo podere sperando di potere trascorrere in pace il resto dei suoi giorni. Quando aveva cominciato a sperare che così fosse, un pomeriggio di qualche giorno prima aveva sentito bussare alla porta e aprendola si era trovato davanti i due uomini di quella terribile notte. Il Diavolo gli aveva ordinato di sedersi e stare zitto mentre gli puntava una pistola contro e il compare faceva una rapida ispezione. Poi gli aveva chiesto dove fosse stato per tutto questo tempo imprecando spesso e lamentandosi dei grattacapi che aveva dato loro, colpa per cui i due avrebbero trovato i cugini e li avrebbero uccisi. La cosa che più interessava al Diavolo era cosa lui avesse raccontato ai suoi congiunti, ma Aureliano che era stato prigioniero dei fascisti e dei tedeschi per un attimo si ricordò del suo istinto da soldato e si rifiutò di rispondere. Il Diavolo allora lo aveva colpito al volto con uno schiaffo che però aveva sbilanciato anche l’amico: Aureliano colse l’occasione e alzandosi di scatto afferrò il coltello che stava sul tavolo e lo affondò fino al manico nella gola del criminale, poi lo tirò fuori provocando un fiotto di sangue che lo colpì in pieno trasfigurandolo in un mostro, e si rivolse verso il Diavolo il quale era rimasto sorpreso dalla velocità del vecchio e adesso si trovava di fronte un uomo  armato di coltello con un volto segnato dall’odio e dalla determinazione. Dimenticatosi di possedere un’arma da fuoco il criminale se la diede a gambe e Aureliano si sedette esausto sull’uscio di casa sua dove fu poi trovato dagli agenti della squadra mobile che erano stati avvertiti da una telefonata anonima.

E questo era tutto. Aureliano Arconti aveva parlato e poi si era richiuso in se stesso e nel suo silenzio per i successivi due giorni.

Francesco Zappa aveva capito il motivo dell’omicidio del vecchio contadino, ma non chi fossero quei due criminali e nonostante le ricerche non era riuscito a trovare chi fosse l’uomo con il tatuaggio del diavolo. Arconti era comunque finito in carcere per omicidio e durante il processo era stato screditato in ogni modo possibile così che la sua storia non reggesse più di tanto. Nessuno prese a cuore la vicenda perché, alla fine, di tre poveri villici a chi importa?

Sconfitto e fiaccato nell'animo Francesco gettò la spugna anche se lasciare le cose a metà lo metteva molto a disagio ragion per cui decise di sbronzarsi e per questo era seduto da ore a uno squallido bar ingoiando bicchieri di whiskey uno dopo l’altro e ripercorrendo nella mente i passaggi della sua indagine che andavano diventando sempre più confusi. A un certo punto fu consapevole che qualcuno sedeva accanto a lui e gli sgorgò una risata dal profondo, una risata sarcastica e drammatica dovuta al fatto di aver riconosciuto in quell’uomo il capo brigadiere Giuliano Arpa. E la cosa ancora più divertente è che Arpa aveva tolto la divisa e arrotolato le maniche della camicia e sull’avambraccio spiccava nitido un bel tatuaggio che raffigurava un diavolo ghignante.

 

Il telefono squillava a vuoto nell’appartamento ormai da giorni quando la portinaia si decise a chiamare la polizia. Quello che trovarono gli agenti fu raccontato dal quotidiano cittadino con un trafiletto in tredicesima pagina: giovane criminologo in carriera viene trovato morto in casa propria a causa di un mix letale di alcool e barbiturici.

 

Commenti

  1. Di sicuro non si è suicidato.
    Brutta fine ma bel racconto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Brutta nel senso di com'è pensata e scritta o nell'economia della storia?

      Elimina
  2. Brutta la fine del protagonista, Francesco!
    Se non ho capito male..il finale.
    Era questa la tua domanda?
    Se vuoi un giudizio sincero , l’ho trovato un po’ prevedibile ma …opinione personale.
    Se dovessi pubblicarlo riscriverei qualche parte…ma ripeto tutto sommato si fa leggere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Allora nel caso di richiesta di pubblicazione ti coinvolgo nel progetto e riscriviamo a quattro mani😎

      Elimina
  3. A questo punto immagino che Claudio Moresco possa andare a fondo della storia.. magari non tra dieci anni.. ;)

    RispondiElimina

Posta un commento