Un’intervista
Venerdì 30 Novembre in allegato con Il corriere della sera c’era
l’approfondimento 7 con in copertina il gancio all’intervista di Walter
Veltroni a Woody Allen in vista dell’uscita di Rifkin’s Festival, ultima fatica
del regista americano, nelle sale dal 5 Novembre.
Oggi sappiamo che le sale – almeno in Italia e altri paesi
limitrofi – sono chiuse e gli USA sono impegnati a digerire il risultato delle
elezioni presidenziali (mentre scrivo sono in corso i conteggi) quindi Rikin’s
Festival potremmo vederlo chissà quando e trovo molto curioso come un’articolo
di meno di una settimana fa rappresenti un mondo completamente diverso rispetto
a quello che percepisco oggi.
L’intervista, che ho trovato un po’ farraginosa e sconnessa,
riporta tutto il cinismo e l’ironia tagliente, ma anche il profondo amore per
il cinema - europeo, italiano in particolare, di De Sica (padre) soprattutto –
del regista oltre alle sue riflessioni sui cambiamenti che sta attraversando
non solo l’industria dell’intrattenimento su schermo ma anche il mondo intero.
Allen per me è uno dei registi più interessanti che conosco da quando ho
scoperto la passione per il cinema, ha firmato uno dei miei film preferiti (ne
parlo QUI) ed è un cineasta ispirato e d’ispirazione che trasmette tutta la sua
professionalità attraverso quello che fa e quello che dice. Non sono sempre
stato d’accordo con il suo sguardo sul mondo del cinema: è un uomo che
appartiene a qualche generazione fa e non mi posso aspettare che accolga a
braccia aperte questo mondo straniante in cui viviamo. Tuttavia rispetto il suo
punto di vista e lo trovo interessante.
Mi hanno colpito in particolare due momenti dell’intervista.
Il primo è quando parla dello stato del cinema oggi.
Pandemia a parte, il cinema non sta messo benissimo. Da un lato ostaggio di
film fatti in copia e che puntano solo all’intrattenimento e dall’altro l’eccessivo
manierismo che scoraggia lo spettatore. In mezzo tanta roba buona, ma c’è da
scremare parecchio. Poi c’è la questione biglietti che, in riferimento alla mia
zona, stanno lievitando a livello un po’ troppo alto per poter pensare al
cinema come a una passione popolare e non un intrattenimento da élite sociale.
Allen dipinge una situazione ancora più drammatica – riferendosi, credo, al
cinema americano – e nelle sue parole si sente tutta la delusione di un grande
appassionato.
Il secondo momento che ha attirato la mia attenzione
riguarda la percezione del sé in riferimento alla società. Allen sostiene che la
pelle, ovvero ciò che siamo, sia una stanza dai muri invisibili dalla quale non
possiamo uscire per tutta la vita. Questa visione che ad una prima lettura mi
era sembrata abbastanza pessimistica in realtà, riflettendoci, può essere
interpretata in modo più costruttivo. Oggi viviamo in una realtà in cui siamo
bombardati da messaggi positivi, siamo marcati a uomo da personaggi che
vogliono venderci la loro visione positiva della realtà, che quasi ci
costringono a forza a vedere in quello che sta succedendo delle opportunità
dove invece molti di noi vedrebbero angosce e preoccupazioni. E’ una dialettica
sistemica che mi ha abbondantemente stufato, ma prima di cominciare a prendere
a calci nel sedere questi signori (che alla fine fanno solo il loro lavoro, eh!)
ho deciso di accogliere il suggerimento che mi ha dato un’amica e fonderlo con
la visione di Allen.
L’idea sarebbe quella di concedersi un solo momento di
angoscia durante la giornata in modo che non si appropri di tutto lo spazio
disponibile: in pratica arredo a mio gusto la stanza dai muri invisibili e ci
piazzo una bella finestra dalla quale osservare il mondo e far cambiare aria
all’ambiente. Magari, tra un po’, da quella finestra potrebbe uscir fuori anche
l’angoscia.
Lo so che questo post aveva come tema centrale l’intervista
a Woody Allen e si è trasformato in una riflessione non richiesta (e se è per
questo neanche programmata) ma le cose della vita, almeno nella mia, sono così:
intrecciate tra loro.
E per ora è tutto gente, buona vita.
"Oggi viviamo in una realtà in cui siamo bombardati da messaggi positivi, siamo marcati a uomo da personaggi che vogliono venderci la loro visione positiva della realtà"
RispondiEliminaIo credo che si debba rimanere con i piedi per terra, senza cedere all'eccesso del "andrà tutto benissimo", ma neanche all'opposto, senza farsi prendere dell'angoscia dei promotori del "Moriremo tutti".
Ci vuole buon senso ed equilibrio. Doti che credo non ti manchino...
Sul cinema straniero non ho molte competenze per esprimermi, su quello italiano sì: il cinema italiano dovrebbe iniziare nuovamente a osare, ma non è facile farlo, in un momento di forte divisione sociale e di politicamente corretto imposto con l'accetta, in reazione a certi movimenti populisti e sguaiati..
Infatti l'equilibrio sta nel mezzo. Ecco: mi piacerebbe, come dici tu, che questi venditori di positività lo facessero in modo sostenibile ovvero dicendo di coltivare l'abilità pragmatica di stare con i piedi per terra.
EliminaMi piace la tua riflessione tanto quanto non mi piace Allen (mai piaciuto molto).
RispondiEliminaHa ragione sul cinema, ahimé: sempre più colossal-copia, è finito il tempo dell'artigianato e delle idee.
Quanto alla visione positiva: dipende dall'attitudine. La tua finestra e il tuo momento per l'angoscia sono giusti, ovviamente come dici... a patto che non inquinino tutta la giornata.
Ci vuole l'angoscia? Forse sì, ma mai lasciarsi sopraffare da questa.
Moz-
Be', se ci voglia oppure no dovremmo chiedere a uno psicologo. Però a volte c'è e bisogna confinarla sennò si prende tutto lo spazio che c'è.
EliminaUomo molto complesso, Allen. Come regista mi piace molto, e andrò e pescarmi l'intervista completa perché mi sembra interessante. E sì, sul cinema di oggi ha ragione, film copia a valanga. Sul prezzo dei biglietti: io ormai al cinema faccio sempre l'abbonamento a 10 spettacoli (così mi viene 6 euro a film), altrimenti davvero sta diventando uno svago tutt'altro che popolare...
RispondiEliminaGrande idea quella dell'abbonamento
EliminaAmo (quasi) tutto il cinema di Allen. Ho letto con interesse la sua biografia uscita recentemente in italiano, in cui però di cinema - ad un certo punto - non parla moltissimo, e posso comprenderne perfettamente le ragioni (vicenda Mia Farrow, matrimonio con Soon Yi Previn...).
RispondiEliminaAnche la tua riflessione mi è piaciuta molto.
Un saluto
Prima o poi lo leggerò anche io
Elimina